Sulla mia pagina Facebook, attraverso la funzione di messaggeria/chat, mi scrive una persona che senza nemmeno presentarsi e chiedere “posso sottoporle una questione?”, parte con un bel po’ di messaggi in cui lamenta di aver subito una violazione di diritti d’autore.
Appena leggo, rispondo subito secondo un cliché standard che ho “collaudato” più volte in situazioni come questa: chiedo cortesemente di contattarmi attraverso il form contatti del mio sito leggendo l’informativa ivi presente e fornendomi i dati per l’eventuale preventivo. Il mio form contatti è strutturato in modo tale da scoraggiare richieste di consulenza gratuita e in generale gli approfittatori e i perditempo (di cui internet è piena).
La persona dice “ok, grazie” e dopo pochi minuti mi scrive dal form contatti un messaggio che è il banale copiaincolla di quanto ha già scritto via Facebook e ovviamente facendo notare di non aver minimamente prestato attenzione a ciò che spiego sul sito in modo molto chiaro e trasparente.
E infatti nel campo “oggetto del messaggio” scrive espressamente “consulenza (gratuita possibilmente)”, tra l’altro indicando il livello di urgenza come “alta”. Ecco lo screenshot del messaggio che il form fa arrivare sulla mia casella email.
Io, sempre con tono educato e paziente, spiego che per una questione così complessa la consulenza gratuita è da escludere e che posso fornire un normale consulto a pagamento. Risponde che va bene ma che la sua situazione di precariato (assegnista di ricerca) non permette di pagare somme troppo alte. Essendo passato anch’io di lì, capisco e invio un preventivo con una tariffa “agevolata”: 90 euro per un’ora di consulto. Conosco avvocati che per lo stesso tipo di intervento chiederebbero il triplo.
Quella persona mi risponde con tono scocciato che non è interessata a una cosa del genere. E sparisce.
Sarei davvero curioso di sapere quanto pensava di pagare una consulenza professionale su una materia così specialistica e su una questione così delicata come quella che mi aveva descritto. Forse pensava di poter pagare quanto si paga per una taglio dal parrucchiere o il lavaggio a secco di un cappotto in tintoria.
E rimango ancor più perplesso dato che si tratta di una persona con un titolo di studio molto alto (dottorato e post-doc) la quale dovrebbe quindi comprendere il valore del lavoro intellettuale. Ma forse sono io che ho aspettative troppo alte verso la gggente.
La storia che vi ho appena raccontato è solo una delle tante che potrei raccontare tra quelle che ogni tanto (per fortuna sempre meno di frequente) mi trovo a dover fronteggiare nel mio lavoro. Episodi che mi fanno perdere sempre tempo prezioso e che mi lasciano sempre un po’ di tristezza.
A quella persona ho risposto che anche noi liberi professionisti siamo tecnicamente “precari” e che lo saremo sempre di più se ci saranno in giro persone come lui.