Le licenze per fare (davvero) Open Access
Al di fuori della rubrica su Open Access per il sito TechEconomy, condivido qui sul blog un’altra anticipazione del libro “Fare Open Access” che sarà disponibile in cartaceo e ebook tra pochissimi giorni.
Benché le licenze Creative Commons vengano definite genericamente “open”, in realtà solo alcune di esse risultano compatibili con la definizione di Open Access accettata a livello internazionale. Ecco qualche approfondimento in questo estratto del paragrafo 3 del mio capitolo.
Attualmente le licenze Creative Commons sono sei, a cui si aggiunge CC Zero (che però non è propriamente una licenza bensì una dichiarazione per il rilascio in pubblico dominio); tuttavia solo alcune risultano pienamente compatibili con la definizione di Open Access ormai diffusamente accettata. Tra i due requisiti fondanti fissati dalla Dichiarazione di Berlino, il primo prevede che “l’autore e il detentore dei diritti relativi al contributo creativo garantiscano a tutti gli utilizzatori il diritto d’accesso gratuito, irrevocabile ed universale e l’autorizzazione a riprodurlo, utilizzarlo, distribuirlo, trasmetterlo e mostrarlo pubblicamente e a produrre e distribuire lavori da esso derivati in ogni formato digitale per ogni scopo responsabile, soggetto all’attribuzione autentica della paternità intellettuale”.
Ne consegue che, delle sei licenze Creative Commons, quelle che incarnano questo approccio sono la Attribution (Attribuzione) e la Attribution – Share Alike (Attribuzione – Stessa licenza), cioè le due più libere e meno restrittive.
La prima permette massima libertà di utilizzo dell’opera, anche a scopi commerciali e con possibilità di modifica e realizzazione di opere derivate, con l’unica condizione di attribuire sempre la paternità all’autore originario (o comunque al titolare dei diritti che dà in licenza l’opera). La seconda invece aggiunge la sola condizione che, nel caso vengano realizzate opere derivate, anche queste ultime siano rilasciate con la stessa licenza; in questo modo le libertà d’utilizzo presenti sull’opera originaria vengono trasmesse anche sulle opere derivate, e via via anche sulle derivate delle derivate.
A queste due licenze si aggiunge per ovvi motivi CC Zero, strumento che, rilasciando l’opera in uno status di pubblico dominio – per così dire – “anticipato e artificiale” toglie qualsivoglia vincolo di copyright (tra cui teoricamente anche quello della citazione dell’autore originario, in quegli ordinamenti in cui non esista una norma che invece renda ciò un obbligo a priori).
Questa immagine mostra le 6+1 licenze in ordine dalla più libera alla più restrittiva, con indicazione di quelle compatibili con i principi dell’Open Access.
In alcuni casi specifici, ad esempio nel caso di opere saggistiche, nelle quali la visione personale dell’autore ha un forte peso, può essere ritenuta accettabile la licenza Attribution – NoDerivatives (Attribuzione – Non opere derivate), cioè una licenza che permette ampie libertà di riutilizzo ma non consente la realizzazione di opere derivate. Si tenga comunque presente che questa licenza non risulta compatibile con la definizione di Open Access.
Non vi è dubbio invece che le licenze con clausola “Non Commercial” (per altro molto utilizzate dalle case editrici che abusano del termine “Open Access”) restino escluse dalle licenze considerate pienamente “aperte”.
Per altri approfondimenti e indicazioni pratiche come questa, rimando alla lettura dell’intero libro.
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