Il Ministero dell’Interno ha problemi con le licenze CC e con l’open data
Già la mancanza delle lettere maiuscole ove invece sarebbero necessarie (“Ministero”, “Creative Common”) trasmette sciatteria e poca cura; tuttavia lasciamo perdere considerazioni da “Grammar Nazi” e soffermiamoci sulla sostanza.
Innanzitutto, c’è da rilevare che trattare come un tutt’uno “dati, informazioni testuali ed elementi multimediali” non risulta la scelta migliore, dato che per effetto della cosiddetta Direttiva Public Sector Information, dati e documenti prodotti dalla PA sono sottoposti a una disciplina diversa rispetto alle altre opere dell’ingegno che vengono prodotte e diffuse dalla PA (fotografie, filmati, musiche, contenuti multimediali). Sarebbe quindi più opportuno tenere separate le due categorie anche nelle note legali dei siti, oppure – scelta consigliabile – applicare ad entrambi il regime di copyright più aperto.
Poi – e questo è il nodo più delicato – dire genericamente “licenza Creative Commons 2.5” non è sufficiente. Quella dicitura potrebbe infatti riferirsi a sei diverse licenze; anzi, a ben vedere, se non si indica anche la versione nazionale della licenza (Italia, Francia, USA…) potrebbe riferirsi a più di un centinaio di licenze. E’ per questo che, a scanso di equivoci, le linee guida di Creative Commons (e anche la buona prassi del settore (che – lasciatemi dire – ormai ogni legale specializzato in diritto della proprietà intellettuale o diritto dell’informatica dovrebbe conoscere) consigliano di indicare sempre l’URL completo in cui poter risalire al testo integrale della licenza.
Il tutto sembrerebbe risolto da un link che si trova invece nel footer del sito (mi chiedo: troppa fatica riportare il link anche testo del disclaimer?!); questo link però rimanda a una licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Italia (questo sarebbe li nome completo e corretto della licenza) quindi non a una versione 2.5, come invece indicato sopra.
Ci si chiede dunque quale sia la licenza realmente prescelta. Possiamo forse risolvere il tutto con il buon senso, evitando di essere eccessivamente rigidi e pensando che il riferimento da considerare sia quello del footer in quanto più aggiornato e completo di link.
Ma i problemi non finiscono qui.
Se la licenza che il Ministero voleva applicare era davvero la BY-NC-ND, bisogna far presente che, almeno per quanto riguarda dati e documenti, quella licenza è contraria a quanto previsto dalle “Linee guida nazionali per la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico (anno 2014)“ emesse dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID) e tutt’ora principale riferimento per il settore. Al Capitolo 8 delle linee guida si legge infatti (in un box ben evidenziato):
Facendo riferimento alla definizione Open Data fornita dall’Open Knowledge Foundation (OKF) per cui un dato è aperto se è “usabile, riutilizzabile e ridistribuibile liberamente da chiunque anche per finalità commerciali, soggetto al massimo alla richiesta di attribuzione e condivisione allo stesso modo”, le sole licenze ammesse per abilitare l’effettivo paradigma dell’Open Data sono classificate come mostrato in Figura 7. Come evidenziato in figura, tutte le altre licenze che non consentono lavori derivati, anche per finalità commerciali (i.e., licenze che riportano chiaramente clausole Non Commercial – NC e/o Non Derivative – ND e/o ogni altra clausola che limita la possibilità di riutilizzo e ridistribuzione dei dati) non possono essere ritenute valide per identificare dati di tipo aperto.
L’immagine cui si rimanda è un chiaro schema ad albero, che tra l’altro è una semplice rielaborazione di un mio schema diffuso nel 2012 su questo blog (vedi) e poi inserito anche nel libro “Il fenomeno open data“. Ecco l’immagine come compare nel Capitolo 8 delle linee guida AGID. Sembra davvero a prova di “dummy”.
Ora… potrebbe anche essere che il Ministero dell’Interno non sia interessato a sposare la causa dell’open data. Tuttavia, viene legittimamente da chiedersi: a che pro?! Non sarebbe meglio che i ministeri rappresentassero delle best practice e fungessero da esempio per le altre pubbliche amministrazioni?
Ma forse sono io che ho troppe pretese e sono troppo pedante…
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