Saturday’s Talks: ma alla fine, questi fork, diventano progetti di successo oppure sono solo forme di protesta?
La discussione di questo sabato nasce dalla notizia letta in merito all’abbandono di Terraform da parte di Oracle in virtù di OpenTofu, il suo fork di cui tanto abbiamo parlato ultimamente. Chi osserva in maniera disinteressata la questione potrebbe giungere ad una facile e logica conclusione: osservando queste notizie e vedendo come esista già una release pubblicata per il progetto, OpenTofu è e sarà un progetto di successo.
Ma è davvero così?
Il discorso può essere esteso a tutti i fork di cui abbiamo parlato in questi anni, ma la questione Terragorm/OpenTofu è molto illuminante per analizzare la tematica in senso generale.
Ecco perché.
La storia è nota. OpenTofu è nato in seguito alla scelta di HashiCorp di cambiare la licenza del suo software Terraform, spacciata come necessaria per valorizzare i contenuti prodotti dall’azienda e non riconosciuti dai grandi provider. Il motivo reale della scelta si è rilevato essere l’acquisizione da parte di IBM (al momento molto discussa all’interno delle varie community), ma la sostanza non cambia: partendo da questa scelta è nato il fork.
Tra le ulteriori giustificazioni dell’esistenza di OpenTofu vi è anche l’esigenza da parte della community di avere nuove funzionalità in Terraform non recepite o considerate da HashiCorp, una su tutte la End-to-End State Encryption che consente di rendere i file di configurazione sicuri indipendentemente da dove questi vengono archiviati, parte integrante della release 1.7.0 appena pubblicata.
Non è un caso che quest’ultima funzionalità sia stata inclusa nella prima release: è proprio uno dei motivi per cui il fork è stato creato. La timeline del progetto OpenTofu appare chiara, ma il punto è: da qui in avanti come andranno le cose? Nello specifico, ora che il fork ha sanato ciò per cui era nato, come procederanno i contributi?
Ad inizio maggio Cristian Măgherușan-Stanciu, che di cloud vive, ha pubblicato un lungo e dettagliato articolo che analizza i contributi al progetto e ne valuta la sostenibilità nel tempo. I risultati, a suo dire, sono piuttosto deludenti.
Eccoli riassunti, per il dettagli specifico (ci sono molte immagini) rimandiamo all’articolo.
Al momento della nascita di OpenTofu, erano stati previsti 18 FTE (Full Time Equivalent, persone dedicate) da 4 aziende per lavorare a tempo pieno su OpenTofu per almeno 5 anni. A questi si aggiungevano circa 800 persone ed oltre 160 aziende in totale, impegnate in qualche modo sul progetto.
Numeri che, a detta dell’autore, ma anche di qualunque persona sana di mente, avrebbero potuto mettere in seria difficoltà qualsiasi progetto concorrente, non solo Terraform.
L’indagine però prosegue con la misura reale dei contributi, mediante GitHub e l’unico dato realmente misurabile: i commit. Qui si vedono solamente 5 rispetto alle 18 persone previste contribuire in OpenTofu. Dato che, comparato a quanto invece si vede sul repository Terraform di HashiCorp, presenta un bel disavanzo a favore dell’azienda che presto sarà di IBM.
La sostanza del discorso è quindi chiara. Fermo restando il metodo empirico (quello dei commit) per il quale però non esistono molte alternative, al momento comunque la sola HashiCorp sta contribuendo molto più che l’intera community di OpenTofu, il cui trend, questo forse il dato più rilevante, è in discesa. A fronte di una grande partecipazione iniziale dettata dall’entusiasmo e dalla necessità di introdurre le nuove funzionalità al momento tra le varie contribuzioni c’è il deserto dei Tartari.
Il post chiude con l’auspicio che le aziende presenti a supportare l’avvio di OpenTofu mantengano la parola data, ma proprio l’autore rammenta un’esperienza simile vissuta in prima persona con il suo software AutoSpotting che ha avuto un decorso simile se non identico, tanto da portare (anche lui) a mantenere le novità proprietarie.
In conclusione eccoci al titolo dell’articolo. Cosa sono questi fork? Forme di protesta? Modalità per ottenere facilmente cambiamenti necessari ai propri software? Esercizi di stile? Non è dato di saperlo, di certo è che a cercare storie di successo in merito a questi fork non si trova quasi nulla.
Unica speranza: che l’apertura alla riunificazione mostrata nella release 1.7.0 da parte di OpenTofu non sia solo di facciata e che tutti inizino a direzionare gli sforzi in maniera sensata.
Speranza vana?
Raoul Scarazzini
Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
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