I licenziamenti di Red Hat sono un segnale per il mondo open-source o è tutto normale? Nel mondo Linux si può ancora fare la differenza?
Alla fine di aprile abbiamo raccontato della lettera scritta da Matt Hicks, il nuovo CEO di Red Hat, ai dipendenti che annunciava un importante taglio nella forza lavoro. A parte qualche post su Linkedin di qualche dipendente finito sotto la scure dei licenziamenti, l’eco mediatico suscitato non è stato per nulla importante in termini di risonanza. Eppure la notizia in sé ha fatto scattare più di un campanello d’allarme tra gli operatori del settore.
Tutto però, apparentemente, tace, eppure noi continuiamo a pensarci.
Tralasciando il classico e logico pensiero “e se il prossimo fossi io?”, utilizzando una visione più globale si potrebbero tirare due conclusioni che, in un certo senso, sono diametralmente opposte:
- È tutto normale: business is business ed un taglio del 4% della forza lavoro nella principale azienda open-source del pianeta è sostanzialmente naturale, fa parte del gioco.
- È l’inizio della fine: se Red Hat, che aveva fatto del proprio brand un emblema di correttezza e cura verso i dipendenti ha iniziato ad invertire la rotta, tutte le altre le andranno dietro a cascata.
Per cercare di tirare le fila di questi ragionamenti viene in aiuto Hilary Carter, SVP della ricerca e delle comunicazioni presso la Linux Foundation, la quale, nel suo discorso programmatico all’Open Source Summit North America a Vancouver, raccontato da ZDNet, si è così pronunciata:
In spite of what the headlines are saying, the facts are 57% of organizations are adding workers this year.
Nonostante ciò che dicono i titoli, i fatti sono che il 57% delle organizzazioni sta aggiungendo lavoratori [open-source, ndr] quest’anno.
Hilary Carter cita i dati dell’ultimo sondaggio sul lavoro della Linux Foundation, che è stato pubblicato durante l’evento.
Ci sono altre ricerche che indicano anche segnali più luminosi nelle tendenze dell’occupazione tecnologica, come l’analisi di CompTIA degli ultimi dati del Bureau of Labor Statistics (BLS) dove il tasso di disoccupazione tecnologica viene indicato come aumentato di appena il 2,3% ad aprile.
L’articolo continua indicando come più organizzazioni stiano pianificando di aumentare i livelli del proprio personale tecnico, piuttosto che ridurlo.
Ed a certificare come chi opera nel mondo open-source sia centrale in questo processo viene indicato come la domanda di talenti tecnologici qualificati rimanga forte, in particolare nelle aree in rapido sviluppo, come cloud e container, sicurezza informatica, intelligenza artificiale e apprendimento automatico.
E se c’è una cosa che queste aree tecnologiche hanno in comune è che sono tutte fortemente dipendenti dalle tecnologie open-source e Linux.
In conclusione, i numeri indicano come sia “tutto normale”, nonostante questi sia la prima volta, nella trentennale storia di Red Hat, in cui avvengono licenziamenti di massa e nonostante i licenziamenti riguardino “tutti”, compresi maintainer storici di Fedora.
Magari quindi è “solo” un problema, per giunta momentaneo, di Red Hat, così come in passato abbiamo visto cose simili in tutte le altre big tech come Microsoft, Amazon, Google e, uh, IBM (che però è sempre Red Hat).
Magari il mercato si sta muovendo davvero nella maniera indicata dai numeri.
A noi che rimane da fare? Continuare ad osservare e, nel limite del possibile, continuare a crescere, perché se c’è una cosa chiara (se mai vi fosse stato un dubbio) è che le persone competenti avranno sempre poche difficoltà a trovare lavoro.
Raoul Scarazzini
Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
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