È possibile, nel 2023, fare una classifica delle aziende open-source che fatturano di più?
Vi siete mai chiesti quale siano oggi, anno domini 2023, le aziende open-source che fatturano di più?
La domanda sembra semplice (una ricerca su google parrebbe essere sufficiente), ma in realtà non è così. O meglio, ci sono dei presupposti da inserire alla base del ragionamento, il primo dei quali è cosa definisce una azienda “open-source”.
Il motivo di questo articolo nasce dalla notizia del recente avvicendamento avvenuto alla guida di SUSE, in cui Melissa Di Donato il 22 marzo 2023 ha abbandonato dopo 4 anni il ruolo di CEO per lasciarlo nelle mani di Kirk-Peter van Leeuwen, che nei vent’anni precedenti aveva lavorato per la “rivale” Red Hat.
Volevo capire dove si collocasse SUSE nel panorama delle aziende open-source ed ho realizzato come oggi sia davvero complicato determinare quali e quante aziende possano definirsi open-source.
Di tutti i ragionamenti possibili ci si può affidare al più semplice: data la definizione stessa di open-source, ossia un modello di sviluppo software decentralizzato che incoraggia la collaborazione aperta (arriva da Wikipedia), un’azienda open-source è identificabile con un software open-source e ne alimenta gli sviluppi direttamente attraverso i propri dipendenti ed indirettamente con le contribuzioni derivanti la community.
Il problema è che tra i big player il numero di servizi e prodotti è talmente alto che quelli open-source sono solo una parte, a volte piccola, del tutto. Amazon, per capirci, ha un fatturato che è composto tanto dalla vendita degli scopini per il W.C. quanto dalle istanze di OpenSearch, la sua replica open-source di Elastic Search.
Quindi ho cercato di usare una fonte comune, affidandomi ai dati pubblicati dal sito https://companiesmarketcap.com che fornisce un elenco delle aziende ordinabile per diversi fattori, scegliendo, per quel che ci interessa, “Revenue”.
Da qui le altre precisazioni.
Microsoft (204 miliardi di dollari di revenues) possiede GitHub, che tutti potremmo definire un’azienda open-source, ma è considerabile in una classifica? Stesso dicasi per Google (282 miliardi) a cui in fondo dobbiamo Kubernetes o di nuovo Amazon (514 miliardi) con AWS: avrebbe senso includerle considerato quanto ampio è lo spettro di prodotti e servizi che vendono?
Fa storia a parte IBM (60 miliardi), che possiede Red Hat, per la quale si riesce a fare un discorso diverso, affidandosi a quello che indica Fortune che valuta Red Hat come un’azienda a sé stante e fornisce un dato di revenues intorno ai 3,5 miliardi di dollari.
A proposito di Red Hat, la diretta concorrente è SUSE, che però si colloca piuttosto indietro in quanto nel 2022 ha guadagnato 653 milioni di dollari, ma con un trend di crescita del 17% sull’anno precedente.
Canonical, mamma di Ubuntu, non è nemmeno menzionata nell’elenco (poiché non è ancora quotata, anche se è parecchio che se ne parla), e un dato preciso non si trova, ma varie fonti danno revenues inferiori ai 200 milioni di dollari.
La verità è che oggi, per parlare di big player in ambito open-source, tolta Red Hat, dobbiamo guardare aziende di prodotto.
E limitando quindi le aziende a quelle che partendo da un software open-source ne vendono versioni enterprise con servizi e consulenze associate, ecco una breve classifica:
- MongoDB: 1,28 miliardi
- Elastic: 1.02 miliardi
- Confluent: 580 milioni
- Hashicorp: 470 milioni
Numeri certamente interessanti, che danno l’idea del quadro generale delle cose, almeno in termini di aziende open-source.
Che ne pensate dei numeri? L’approccio ha senso o ne avete altri da suggerire?
Sentitevi liberi di dare i numeri!
Raoul Scarazzini
Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
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