Hai attivato Ubuntu Linux su Microsoft Azure? Controlla Linkedin, potresti avere richieste di contatto (da commerciali Canonical)
Sia o meno il segreto di Pulcinella (col carnevale appena passato l’accostamento ci sta) poco cambia e riporta al vecchio adagio: quanto le aziende fornitrici di soluzioni per il cloud sanno di noi, che ci lavoriamo?
Partiamo col raccontare la storia che riporta ZDNet. C’è un nostro connazionale, Luca Bongiorni, che lancia una VM Ubuntu nel suo account Azure e pochissimo tempo tempo riceve un contatto via Linkedin da un commerciale di Canonical che dice più o meno così:
Ho visto che hai lanciato un’immagine Ubuntu in Azure, sarò il tuo contatto per l’ambito enterprise di Ubuntu
Ora, la reazione dell’interessato, il quale voleva semplicemente continuare a lavorare senza essere disturbato, si è materializzata in questo tweet:
WHAT THE FUCK?!@Microsoft @ubuntu pic.twitter.com/AN9YvsUx5t
— CyberAntani (@LucaBongiorni) February 10, 2021
E chi potrebbe dargli torto?
Al fatto è seguito un minimo di approfondimento da parte di Steven J. Vaughan-Nichols autore tra i più prolifici in ambito Linux su ZDNet che ha contattato Microsoft per chiarimenti, ricevendo questa risposta:
Customer privacy and trust is our top priority at Microsoft. We do not sell any information to third-party companies and only share customer information with Azure Marketplace publishers when customers deploy their product, as outlined in our Terms and Conditions. Our terms with our publishers allow them to provide customers with implementation and technical support for their products but restricts them from using contact details for marketing purposes.
La privacy e la fiducia dei clienti sono la nostra massima priorità in Microsoft. Non vendiamo alcuna informazione a società terze e condividiamo le informazioni dei clienti con gli editori di Azure Marketplace solo quando i clienti implementano il loro prodotto, come indicato nei nostri Termini e Condizioni. I nostri termini con i nostri editori permettono loro di fornire ai clienti l’implementazione e il supporto tecnico per i loro prodotti, ma limitano l’utilizzo dei dettagli di contatto per scopi di marketing.
Come indica Vaughan-Nichols, è esattamente questo che ha fatto Canonical. Peccato che la stessa azienda capeggiata da Shuttleworth sia corsa ai ripari, emettendo un comunicato che più che chiarire aumenta le perplessità:
As per the Azure T&Cs, Microsoft shares with Canonical, the publisher of Ubuntu, the contact details of developers launching Ubuntu instances on Azure. These contact details are held in Canonical’s CRM in accordance with privacy rules. On February 10th, a new Canonical Sales Representative contacted one of these developers via LinkedIn, with a poor choice of word. In light of this incident, Canonical will be reviewing its sales training and policies.
Secondo i termini e le condizioni di Azure, Microsoft condivide con Canonical, l’editore di Ubuntu, i dettagli di contatto degli sviluppatori che lanciano istanze di Ubuntu su Azure. Questi dettagli di contatto sono tenuti nel CRM di Canonical in conformità con le norme sulla privacy. Il 10 febbraio, un nuovo rappresentante Canonical ha contattato uno di questi sviluppatori via LinkedIn, con una cattiva scelta di parole. Alla luce di questo incidente, Canonical rivedrà la sua formazione e le sue politiche di vendita.
Quindi sostanzialmente è stata tutta una cattiva, o povera, o pessima scelta di parole? Mica troppo. Per quanto la responsabilità del fatto venga data totalmente all’uomo sales di Canonical, reo di aver compiuto un’azione infelice, rimane la sostanza di quanto accaduto, come fa notare anche lo stesso Bongiorni: chi mi ha contattato ha solo seguito la procedura, il problema è altrove. Sempre Bongiorni ha dichiarato che non userà più Azure, preferendogli operatori europei in cui il tema GDPR è gestito in maniera più chiara e trasparente.
Ed all’uomo della strada (ossia noi) cosa insegna questa storia? Oserei dire niente di nuovo, se non la conferma dell’ormai antica definizione di cloud, ossia il computer di qualcun altro.
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