Conoscete KEDA, L’event driven autoscaler di Kubernetes? Dovreste, soprattutto ora che è uscita la versione 2.0
Il concetto della scalabilità è parte dei sani principi base dell’utilizzo dei container: aumentare o diminuire la propria “potenza di fuoco” dovrebbe essere un’azione agile e semplice. Gli orchestratori come Kubernetes agevolano la gestione di queste operazioni mediante l’uso dei controller.
È proprio in questo contesto che si muove KEDA, il cui acronimo sta per Kubernetes Event-Driven Autoscaling. Sebbene infatti Kubernetes sia nativamente in grado di effettuare scaling, questo viene effettuato in maniera reattiva, utilizzando come riferimento i dati provenienti dalla CPU e dalla memoria. KEDA ribalta il concetto, effettuando invece uno scaling di tipo proattivo.
Questo lo schema riassuntivo del funzionamento (direttamente dal sito ufficiale del progetto):
Quindi utilizzando una sorgente esterna che genera eventi, Keda determina se e come eventualmente i deployment utilizzando quelli che definisce come “scalers“.
Dipendentemente dal tipo monitoraggio e dalle metriche che si vogliono utilizzare esiste uno scaler specifico. Ce ne sono per Apache Kafka, RabbitMQ, MySQL o PostgreSQL, oppure specifici a determinati tipi di cloud, Azure, AWS o Google Cloud.
Per fare un esempio lo scaler MySQL effettua una query e, sulla base del risultato, estende (o riduce) il deployment.
Quindi Keda è allo stesso tempo un agent, che attiva e disattiva i deployment di Kubernetes, ed anche un server per le metriche di tipo custom, supportati da Kubernetes 1.6.
Se questa tecnologia sembra interessante lo sarà ancora di più sapere che è stata sviluppata da Red Hat (e questo in qualche modo è scontato) e soprattutto da Microsoft (non sorprende quindi che esistano tanti scaler destinati ad Azure). Questa versione 2.0 viene però celebrata all’interno della Cloud Native Compute Foundation poiché la tecnologia è stata donata dai membri fondatori nel gennaio di quest’anno.
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