LA BATTAGLIA PER L’OPEN: traduzione italiana curata da Simone Aliprandi del libro “The battle for open” di Martin Weller. Informazioni complete sul progetto di traduzione in questo post. Puoi suggerire miglioramenti nella traduzione aggiungendo un commento a questo post.
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Capitolo 3 – La pubblicazione in Open Access
Paragrafo 4 – La Gold road
Una delle critiche fatte a Finch è il suo appoggio alla Gold road per quanto riguarda l’open publishing. Come accennato in precedenza, i sostenitori della Green road pensano che sia più sicura e meno cara. Tuttavia, il percorso Gold non è sbagliato di per sé; è più una questione di quale modello economico si adotti e quale costi e libertà esso offra. Così com’è il dibattito sulla Gold road fornisce un esempio dei dettagli più sottili che riguardano l’openness, che si intravedono solo nel momento in cui l’iniziale approccio open è stato accettato. Una ragione di questa agitazione sul Gold OA è che si tratta di un metodo messo a punto dagli editori invece che dagli universitari, cosa che può avere numerose conseguenze involontarie.
Ironicamente l’openness può portare all’elitarismo: se un autore infatti ha bisogno di pagare per pubblicare, specialmente in tempi di ristrettezze, questo diventa inevitabilmente un lusso. I giovani ricercatori o le università di minori dimensioni potrebbero poi non avere questi fondi a disposizione. Molte case editrici hanno inserito esenzioni per i giovani ricercatori: PLoS per esempio ha una liberatoria “no question asked” e non fa pagare i paesi in via di sviluppo. Tuttavia non c’è nessuna garanzia a riguardo e se il Gold OA finanziato da APC diventa la norma, allora ci potrebbe essere un conflitto con gli editori che puntano a massimizzare i profitti. Se ci sono sufficienti clienti che pagano, allora non è nel loro interesse accordare troppe esenzioni. Significa anche che università più ricche possono inondare i giornali di articoli e significa anche che quelle che hanno borse di studio per la ricerca possono pubblicare, dato che è da lì che arrivano i fondi, e chi invece non ne ha può vedersi escluso. Questo incrementa la competizione in un regime di finanziamenti alla ricerca già altamente competitivo. L’Open Access può incrementare l’”Effetto Matthew”, per cui lo stesso autore pubblica più articoli (Anderson 2012). Sarebbe certo una strana ironia se l’Open Access finisse per creare una elite che si autoalimenta.
Un altro possibile problema con il Gold OA finanziato da APC è che può portare costi aggiuntivi. Una volta che il costo di pubblicazione è caricato sui finanziamenti alla ricerca, allora l’autore non ha un interesse legittimo a controllare il prezzo. Non c’è perciò un forte interesse a tenere i costi bassi o a trovare meccanismi alternativi; il costo della pubblicazione è sulle spalle dei contribuenti (che sono quelli che alla fine finanziano la ricerca) o degli studenti (se vengono dalle finanze delle università). I profitti e i benefici restano agli editori che vanno avanti come prima, forse anche con meno moderazione.
La riserva finale che ho riguardo al Gold OA è che come è comunemente interpretato non promuove il cambiamento. In The Digital Scholar (2011) ho parlato di come un approccio digitale interconnesso e aperto possa modificare la nostra interpretazione di cosa costituisca ricerca e di come gran parte della nostra attuale percezione è stata dettata da forme di produzione già esistenti. Quindi per esempio possiamo considerare una granularità di output minori rispetto ai tradizionali articoli di 5000 battute; un maggiore uso di revisioni a posteriori invece che ex-ante; e l’adozione di diversi format mediatici che cominciano a cambiare la nostra idea di cosa sia ricerca. Ma un modello Gold OA che rafforza il potere degli editori commerciali semplicemente mantiene uno status quo e conserva l’articolo peer reviewed come il principale obiettivo che la ricerca debba raggiungere.
È ancora troppo presto per scoprire se qualcuno di questi scenari avrà luogo, ma sono del tutto fattibili e se si presentassero allora sarebbe difficile raffigurare l’Open Access come qualsivoglia forma di vittoria. Questo non significa necessariamente che bisogna seguire il punto di vista di Harnad per il quale il Green OA è l’unico percorso corretto, anzi bisognerebbe considerare il dibattito corrente sul Gold OA come sintomatico di un rapporto con gli editori che sta semplicemente cambiando.
Fonte: http://aliprandi.blogspot.com/2020/11/battaglia-open-cap3-pubblicazione-openaccess-par4.html
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