SETI@home è finito, ma esiste un modo per prestare la vostra CPU alla ricerca sul CoronaVirus: Folding@home!
Quella di SETI@home è stata una storia ventennale. La partecipazione a questo progetto era semplice, nato nel 1999 come un sistema computazionale distribuito per consentire di processare l’enorme quantità di dati necessaria a capire se esiste intelligenza extra terrestre (SETI sta per Search for Extraterrestrial Intelligence), scaricando uno screensaver sul proprio sistema, quando questi veniva eseguito scaricava, processava e inviava i dati elaborati alla Berkley University.
Pochi giorni fa questo laconico tweet ha annunciato la chiusura del progetto:
Thanks to the many volunteers who have helped crunch data for SETI@home in the last two decades. On March 31, the project will stop sending out new work to users, but this is not the end of public engagement in SETI research. pic.twitter.com/P0t0v8w7n4
— UC Berkeley SETI (@BerkeleySETI) March 3, 2020
Ogni cosa deve finire, si sa, il cammino di SETI@home è terminato, ma l’idea del computing distribuito è ancora ben presente, e mai come in questo momento potrebbe consentire di dare una mano a chi sta lavorando sulla ricerca del Corona Virus.
Come spiega ZDNet il nome del progetto dedicato alla ricerca sulle malattie è Folding@home e consente, in modalità cross-platform (quindi Linux, Windows e Mac), di prendere in carico dei processi, elaborarli e restituirli alla Stanford University, all’interno del Pande Lab, dal nome del professore che lo ha fondato, Vijay Pande (quindi no, non c’entra con pande-mia).
È sufficiente scaricare il client ed eseguirlo. Il peso computazionale sul sistema non pare essere rilevante (ma non lo abbiamo ancora provato di persona), semplicemente il client terrà comunque il computer impegnato anche quando scarico.
Insomma, un piccolo gesto che consente di contribuire alla ricerca. Tutto sommato qualcosa di non troppo distante dalla nostra realtà open-source quotidiana, che dite?
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