Ora che OpenStack Stein è stata rilasciata è il momento giusto per chiedersi dove stia andando il progetto.
La diciannovesima release di OpenStack, battezzata Stein, è stata pubblicata lo scorso 10 di aprile, qualche giorno dopo ne approfittiamo per fare un punto su quello che è lo stato del progetto che doveva rivoluzionare internet e che oggi, 10 anni dopo, pare invece già mostrare i segni del tempo.
Ha ancora senso leggere nell’annuncio di release frasi come:
Download OpenStack Stein and learn more about features and enhancements.
Scarica ora OpenStack Stein ed impara di più sulle funzionalità e i miglioramenti
e convincersi che tutto questo sia possibile?
Forse il calo di appeal nei confronti del progetto sta tutto in questa domanda. La tecnologia dietro ad OpenStack non è mai stata realmente raggiungibile, testabile dall’utente di base. Eppure così era venduta. Tanto che la maggioranza di quanti hanno adottato OpenStack lo ha fatto pensando fosse un rimpiazzo delle piattaforme di virtualizzazione in commercio, vedi VMWare, RHEV e via dicendo. Ma niente è più lontano dalla realtà: OpenStack non è, e non è mai stato, un nuovo ambiente per la virtualizzazione.
Se vogliamo cercare una definizione al progetto potremmo definirla la versione open di Amazon Web Services, di Azure Cloud, di Google Cloud… Insomma, non propriamente un concorrente del buon vecchio VMWare ESX.
Eppure… La pubblicità, il mercato, la volontà di cercare a tutti i costi una buzzword che sia in grado di veicolare l’attenzione generale del panorama I.T. hanno fatto sì che il successo del progetto fosse totalmente inaspettato (i dati di crescita sono in questo senso impressionanti) ed il suo scopo totalmente travisato.
Realisticamente, chi ha mai provato OpenStack? A parte le grosse aziende Telco e le gigantesche aziende IT che necessitano di approccio cloud ai propri prodotti, chi altri è mai riuscito a rendere produttivo OpenStack?
È una domanda che, dopo dieci anni, molti si stanno ponendo. In particolare ultimamente il confronto sta diventando aspro con l’altra emergente tecnologia: Kubernetes, di cui tutti parlano e che, di fatto è la buzzword del momento. Tanto che nell’annuncio della release OpenStack, Stein, la parola container è presente con una certa rilevanza.
Mark Shuttleworth nel corso dell’Open Infra Day UK 2019 ha affermato:
I believe OpenStack is important, it’s become trendy to say: ‘I’m skipping OpenStack and going straight to Kubernetes.’ It’s like skipping salad and going straight to steam – they both solve different problems.
Penso che OpenStack sia importante, sta diventando trendy dire “Salto OpenStack e vado dritto su Kubernetes” che è come saltare l’insalata per andare dritto alla carne, ma entrambi risolvono problemi differenti.
E non si può che dar ragione al buon vecchio fondatore di Canonical, perché se c’è una cosa che è chiarissima e che emerge dai vari annunci è che la schizofrenia del mercato I.T. non è destinata ad estinguersi.
Ed è qui che entriamo in ballo noi, operatori del settore, cercando di mantenere equilibrio: sebbene tutto il mondo funzioni alla stessa maniera, ossia con la competitività, con i vincitori e i perdenti, non si può pretendere di misurare come competitor progetti come OpenStack e Kubernetes.
Sarebbe follia.
Esiste una sola arma per far fronte al dilagare di queste informazioni inconsistenti che possono segnare il futuro di interi dipartimenti I.T., chiaramente in peggio: la competenza.
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