By Marco Giannini
Quest’oggi, per la rubrica Lavorare con Linux, ho il piacere di ospitare Pietro Orsatti, scrittore, regista, giornalista, autore teatrale e… appassionato di Linux e del software libero. Pietro Orsatti ha collaborato per numerose testate giornalistiche italiane ed estere, occupandosi di ambiente, società, mafie e esteri. Oltre a questo ha realizzato numerosi documentari, ha scritto per il teatro e ha pubblicato diversi libri. Per maggiori informazioni su Pietro Orsatti e sui suoi lavori vi rimando al sito internet
Il desktop di Pietro Orsatti |
Scrivere e Linux di Pietro Orsatti
Le prime cose che ho pubblicato, ormai agli inizi degli anni ‘80, le ho scritte su una vecchia Lettera22. Aveva alcuni “martelletti” sbilenchi e più che un dattiloscritto, alla fine, il pezzo sembrava un graffito con tanto di correzioni a mano, sbavature . Poi arrivarono un Olivetti M35, il Dos, i floppy disk, il primo programma di videoscrittura WordStar, il monitor a cristalli verdi, i primi DB che ci voleva un genio o un maniaco compulsivo per progettarli e renderli comprensibili. Dopo aver raggiunto livelli inquietanti di stress per aver perso testi su cui lavoravo da giorni per spegnimenti misteriosi e errori nei salvataggi, spesso la vecchia macchina da scrivere ritornava sul tavolo da lavoro. Quando a casa arrivò un Mac (e il primo mouse!) le cose cambiarono decisamente, ma erano passati almeno un paio di anni prima che succedesse e un po’ di codice e i comandi del terminale di Dos mi erano rimasti appiccicati addosso. Sarà per scaramanzia ma quella Lettera 22 con il suo giallino sbiadito e i suoi martelletti sbilenchi fa ancora la sua porca figura in un angolo della scrivania incastrata fra il monitor e un paio di dischi di di backup e ogni tanto ci rimetto su le mani affidandomi per tirare giù appunti alla sua imperfetta affidabilità di pura meccanica.
Aver messo le mani su quei primi Pc e sui sistemi operativi dotati di ambienti grafici come il primo Mac e il primo Windows (ho ancora incubi ricorrenti se ripenso alle prime catastrofiche performance delle versioni del sistemone della Microsoft), quando una decina di anni fa cominciai a sperimentare Linux mi è tornato utile (soprattutto sul piano psicologico) e ha favorito il passaggio praticamente totale di quasi tutto il mio lavoro su distro open. Che non ha riguardato solo le applicazioni di lavoro testuale, ma anche la gestione di dati e di grandi archivi documentali e di editing video. Il passaggio dai sistemi Dos/Windows a Mac (che rappresentò un decisivo salto di qualità non solo sul piano produttivo ma anche estetico fin dai primi scatoloni che sembravano disegnati dallo scenografo di Star Wars) su ambienti desktop basati su Linux non è stato istantaneo. Per anni ho testato e verificato le prestazioni e l’avanzamento dello sviluppo sia delle applicazioni che delle varie distribuzioni passando gradualmente a Linux. Un passaggio che da 5 anni è diventato, almeno per quanto riguarda il mio lavoro di scrittura e di gestione dei documenti fondamentale. Più recentemente il salto di qualità è diventato evidente anche su altri settori produttivi.
Soprattutto sul piano del montaggio video e della correzione di colore questo ultimo passaggio è stato reso possibile dall’eccezionale incremento di applicazioni open come Kdenlive e lo sviluppo di alcuni editor molto avanzati proprietari per sistemi Linux come e non solo DaVinci. L’ultimo Anche la casa editrice con cui pubblico attualmente (Imprimatur) ha fatto un parziale passaggio a Linux (da anni il server e alcuni terminali dell’amministrazione e della redazione) ma la presenza di macchine Apple è comunque predominante a causa di due fattori: i profili di colore per le tipografie e lo standard di impaginazione Adobe (in particolare InDesign). Su questo lato gli sviluppatori di applicazioni su ambienti Linux sono in grave ritardo e le virtualizzazioni di programmi Adobe aggiornati sono assolutamente instabili e quindi non proponibili per chi si occupa di grafica per la stampa. Ma non essendo un grafico e non intervenendo direttamente nell’impaginazione questo aspetto non mi riguarda.
Andiamo all’oggi. Ho due macchine su cui lavoro abitualmente e dove è installato Linux. Un fisso assemblato e molto pompato (sia di Ram che di scheda grafica con un processore i7) che utilizzo quasi esclusivamente per il montaggio video con installato Linux Mint Mate 18 (ho testato la 19 ma ancora non mi convince e sto aspettando il prossimo avanzamento) e un “muletto” che mi segue ovunque e che utilizzo praticamente per tutto, che nonostante sia datato con un po’ di interventi credo che mi seguirà almeno per un anno. Un Dell Latitude E6530, processore i7, Scheda video Nvidia da due giga, 16 giga di Ram, un SSD da 128 giga per il sistema operativo e le applicazioni e un hard disk da 2 Tb montato con il kit rintracciabile e installabile facilmente al posto del DVD.
Per anni ho usato e montato contemporaneamente due sistemi operativi su due partizioni separate: Linux Mint Mate e Elementary. Intanto ho seguito con grande interesse lo sviluppo di Gnome 3 esploso soprattutto con l’ingresso prepotente di questo ambiente grafico come DE principale di Ubuntu. Attualmente ho lasciato una partizione libera in attesa del rilascio di Elementary 5 e ho installato Ubuntu 18.04 sull’altra e ammetto che questa nuova distribuzione (con qualche aggiustamento) mi soddisfa appieno e anzi su alcuni processi e flussi di lavoro ha reso tutto molto più semplice e veloce. Unico neo è l’eccesso di integrazione del sistema con servizi come Google e i social, ma se devo operare in ricerche documentali delicate che richiedono un surplus di privacy c’è sempre a portata di mano Talis su una pennetta usb nella borsa del pc.
Un’ultima cosa. C’è un programma che proprio per la gestione di enorme quantitativi di documenti è diventato negli anni fondamentali: Calibre. Questo programma nato per la gestioni di biblioteche di ebook è molto più potente e efficace di quello che si immagini. Con la dovuta attenzione e gestione e indicizzazione dei metadati in fase di archiviazione e la suddivisione di librerie differenziate e l’installazione di alcuni plugin aggiuntivi, è un motore fondamentale nel mio lavoro. Faccio un esempio pratico. Nel mio libro “Il Bandito della Guerra Fredda” (Imprimatur editore 2017) sulla storia del bandito Salvatore Giuliano, frutto di 8 anni di ricerche negli archivi di mezzo mondo, mi sono trovato a gestire un archivio specifico documentale di circa 20.000 fra documenti, ritagli di giornali, immagini, appunti, libri etc. Calibre, grazie a un po’ di attenzione nella fase di archiviazione (metadati) mi ha consentito di districarmene. Stabile, facile, potente e veloce è fra i primi che installo ogni volta che monto una nuova distribuzione.
Per concludere, non solo non provo alcuna nostalgia (se non estetica come potrete constatare nell’immagine del mio desktop) da Apple (da Windows mai!), ma credo che il mio passaggio completo a Linux abbia ogni giorno in questi dieci anni favorito un miglioramento sostanziale al mio lavoro.
P.s. (ogni volta che installate e iniziate a utilizzare abitualmente una distribuzione Linux o un’applicazione open fate una donazione. Che ci siano delle risorse per migliorare quello che è uno strumento fondamentale del nostro lavoro e del nostro accesso a informazioni, è fondamentale. Vale sempre la pena farlo anche dal punto di vista dell’etica e della gestione democratica e trasparente dell’informazione).
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