Insegnante Attivo! Intervista a Luca Scalzullo

Non è sempre facile trovare un titolo per un intervista, ma in questo caso me l’ha suggerita proprio l’intervistato in una sua risposta. Insegnante Attivo è il titolo dell’intervista a Luca Scalzullo.

Come insegnante attivo Luca ha creato tantissime best practice e progetti liberi che ispirano tantissimi suoi colleghi od appassionati di didattica digitale!

Luca Scalzullo

Conosciamo Luca Scalzullo

Luca Scalzullo, classe 1971, laureato in Ingegneria Chimica con specializzazione nel settore degli impianti industriali. Ha lavorato come Assistant Researcher al City College della City University of New York e ricercatore a contratto all’Università di Salerno.

Dopo diversi anni da libero professionista vince il concorso e da quattro anni fa l’insegnante.

Ed è da qua che parte l’intervista ad un insegnante innovatore ed attivista o come preferisce essere chiamato “Insegnante attivo”!

Vi presento Luca Scalzullo!

Hai lavorato in contesti universitari sia italiani che statunitensi, quali differenze di approccio ci sono tra queste due realtà?

Beh non è semplice parlarne, sono due sistemi davvero diversi. L’università italiana si fonda su un giusto principio democratico che consente a tutti di affrontare un percorso universitario gravando limitatamente sul bilancio familiare, mentre, anche per le università meno quotate, il costo delle tasse in America è decisamente alto. Esiste, però, la ferrea volontà negli USA, di sostenere i ragazzi bravi e volenterosi.

Già dalla scuola superiore, infatti, si organizzano vere e proprie campagne di ‘assunzione’, in cui gli atenei vanno alla ricerca dei meritevoli e dei migliori sostenendoli economicamente laddove necessario. Questo garantisce, a mio parere, non solo una selezione di studenti pronti ad essere inseriti nel mondo del lavoro, ma anche una classe dirigente e di ricercatori mediamente più preparati. L’intera scuola americana è fondata sulla produttività, per cui, ogni studente ha la possibilità di scegliere un percorso portandolo avanti indipendentemente dalle canoniche professioni in Italia inflazionate (Architetto, Ingegnere, Commercialista, Avvocato…), cosa che difende, a dispetto di quello che appare dalla descrizione precedente, anche le professioni minori.

Trovo interessante, poi, l’unione stretta e collaborativa di scuola, università e mondo del lavoro. L’istituzione scolastica, è forse qui siamo manchevoli in Italia, è un ganglio fondamentale della società e non può essere considerata tout court una sorta di oasi nel deserto. Industrie, sistemi produttivi, società, centri di ricerca, enti pubblici e privati devono necessariamente entrare nelle aule degli atenei e preparare gli studenti a quelle che sono le richieste del mondo del lavoro garantendo così occupazione, preparazione e nessuno sbandamento post laurea.

Mi rendo conto che sembra un panegirico a favore del sistema statunitense, non lo è, non del tutto. Il nostro sistema, fino a qualche anno fa (ormai ne sono uscito da un po’), garantiva quella che normalmente viene definita ‘una straordinaria visione di insieme’ e sviluppa un enorme spirito critico e di autonomia che, spesso, permette ai nostri studenti e ai nostri laureati di colmare rapidamente il gap dell’enorme specializzazione di altri atenei stranieri, permettendo di gestire e di coordinare facilmente gruppi di ricerca. L’unica nota dolente è l’incapacità di trattenere le menti migliori che, una volta sul mercato del lavoro, preferiscono offerte e stimoli che l’Italia non è più capace di offrire. Permettere che una mente brillante vada a lavorare all’estero dopo essere stato formato in Italia rappresenta per la nostra Nazione innanzitutto un danno economico (l’Italia spende per formare qualcuno che poi contribuisce, con le sue conoscenze ed abilità all’economia di altri paesi), ma anche un impoverimento culturale che non può essere consentito.

Da un contesto universitario sei passato con un pubblico molto più giovane, com’è stato questo cambio?

Beh non è stato così rapido, ma è una storia che va raccontata. Lasciata l’Università ho fatto per un bel po’ di anni la libera professione nel settore dell’ingegneria civile, industriale e della consulenza in genere. La crisi e un mercato del lavoro complesso non mi consentivano più una tranquillità economica tale da gestire con serenità la mia famiglia, sai tempi di pagamento degli enti e cose del genere mal si adattano con le esigenze stringenti di un bambino che cresce.

In quel periodo fu bandito il “concorsone” ed alla fine capitolai decidendo di provare. Dico capitolai perchè vengo da una famiglia di insegnanti ed ho sposato una splendida ragazza i cui genitori e la cui sorella, manco a dirlo sono insegnanti. Capirai che a casa mia le feste comandate sono sempre state vere e propri collegi dei docenti, e l’idea di far parte di quel mondo non la ho mai nemmeno minimamente accarezzata.

Vinsi il concorso e sono stato immesso in ruolo, ma sono entrato a scuola con un senso di sconfitta e fallimento. Non è mai stato quello che volevo fare, non è mai stata una aspirazione. Quando poi, dopo un solo quarto d’ora di lezione, una ragazzina intelligente quanto sfacciata mi ha sfidato guardandomi negli occhi chiedendomi di spiegarle cosa fosse la mia disciplina e se riuscissi a trovare il modo di fargliela piacere, beh il mondo è cambiato all’improvviso.


Dopo un quarto d’ora di lezione, una ragazzina intelligente quanto sfacciata mi ha sfidato guardandomi negli occhi chiedendomi di spiegarle cosa fosse la mia disciplina e se riuscissi a trovare il modo di fargliela piacere, beh il mondo è…
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Ed allora ho capito non solo che le basi di tutto quello che avevo fatto fino a quel momento nascono e vengono poste in essere proprio in quei banchi, proprio a quell’età, ma anche che, in fondo, quello era il lavoro che avevo sempre sognato di fare e che, oggi, a solo quattro anni da quel giorno, non cambierei con nessun altro. Vale la considerazione che quello che sai e come lo sai va destrutturato e riassemblato in modo da trasferirlo a ragazzi della secondaria di I grado e, quando capita, a quelle della primaria e dell’infanzia. Non può essere un sapere preconfezionato, così come non può esistere una metodologia vincente, ma soltanto la necessità di modellare sui ragazzi, anzi, con i ragazzi un sapere da costruire giorno per giorno per sviluppare, con le conoscenze proprie della mia disciplina, un modo di pensare e non un sapere enciclopedico, una capacità critica utile al riuso e alla scalabilità in altri settori. Insomma, il passaggio alle medie ha segnato per me l’inizio di una nuova accattivante fase di studio che forse avevo abbandonato in un lavoro stereotipato e fondamentalmente ripetitivo.

Sul web ti si riconosce anche per forti collaborazioni con colleghi ed altri attivisti, che stimoli ti crea questo networking?

Discutevo, all’alba della Buona Scuola, con mio padre della riforma. Mi disse una cosa che mi diede seriamente da pensare. Sosteneva di aver visto, nella sua carriera di insegnante, tante di quelle riforme che avrebbero dovuto cambiare radicalmente il mondo della scuola da non credere più a nessuna di loro. Alla fine l’insegnante entra in classe ed è solo con gli alunni ed è lui a dover fare la vera riforma. Parzialmente vero. Mi riferisco al fatto che è assolutamente da condividere l’idea che una vera riforma non può che partire dal basso, da chi conosce i problemi di una guerra di trincea quotidiana e che ha il polso ed il termometro dello stato di salute della Scuola Italiana. L’idea, però, dell’insegnante solo chiuso all’interno della sua aula non mi convince più.

La scuola mantiene anche fisicamente una conformazione ormai desueta e che per la rapidità di cambiamento della nostra società non può più funzionare. Senza prescindere dalle conoscenze, il sapere non può più essere trasmesso in maniera verticale, dall’alto al basso, dalla cattedra agli studenti. Il processo deve essere circolare, cooperativo, creativo, dove per creativo si intende la capacità di dare forma ad idee. Mi chiedi di altri attivisti e networking. In questo processo, come in ogni altra attività che si introduce a scuola è fondamentale la valutazione, o come si diceva in laboratorio, la validazione dei risultati.

Non parlo di voti, che per inciso e per quello che mi riguarda cominciano lentamente a perdere di significato, ma della consapevolezza che deve assumere un insegnante nel sapere se quello che fa funziona o meno, aiuta o no l’apprendimento attivo dei ragazzi. Questo presuppone una didattica laboratoriale, una serie di attività di ricerca verso lo sviluppo delle competenze. Mi piace l’idea di una scuola fucina di cambiamento, mi stimola e mi coinvolge l’idea dell’INDISCIPLINA, ovvero di un confine tra le materie studiate che non esiste nella realtà. Il sapere lo è a tutto tondo e non può e non deve essere parcellizzato.


Mi piace l’idea di una scuola fucina di cambiamento, mi stimola e mi coinvolge l’idea dell’INDISCIPLINA, ovvero di un confine tra le materie studiate che non esiste nella realtà. Il sapere lo è a tutto tondo e non può e non deve essere…
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In questo clima l’intervento di altri colleghi, la serena condivisione di attività, la replica in contesti diversi, la critica costruttiva, l’annullamento dell’IO in funzione del NOI contribuisce ad una selezione naturale di pratiche e ad una rapidissima evoluzione delle stesse che sfugge ad ogni riforma, che rappresenta un fiume in piena ormai inarrestabile, rendendo anche noi docenti, alunni di noi stessi pronti a costruire un sapere al fianco dei nostri studenti.

Sei attivista ed insegnante, c’è un confine tra le due figure?

Attivista è una parola che mi piace. Mi fa venire in mente le lotte e le proteste per i diritti civili, quelle che mi raccontava mia madre della sua gioventù, quelle manifestazioni di una generazione che ha voglia di cambiare il mondo. Ma non mi sento tale, non nel mondo della Scuola.

Qualcuno ha avanzato per me il ruolo di innovatore e quando vado a parlare in qualche scuola mi chiamano formatore. Niente di tutto questo. Sono solo un insegnante e tale voglio restare. Sì, magari insegnante attivo. Nel senso che se proprio dovessi riconoscermi in un modo di essere direi di somigliare a quegli insegnanti che giorno per giorno tentano di adattare la propria didattica al materiale umano che hanno davanti.


Qualcuno ha avanzato per me il ruolo di innovatore e quando vado a parlare in qualche scuola mi chiamano formatore. Niente di tutto questo. Sono solo un insegnante e tale voglio restare. Sì, magari insegnante attivo.
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Non esiste una ricetta, ma esistono tanti universi diversi e diversamente complessi per ognuno dei nostri ragazzi. Certo è che non mi fermo, non smetto di studiare e sperimentare, di apprendere e provare, e se posso, di condividere. Insieme si possono fare grandi cose.


Certo è che non mi fermo, non smetto di studiare e sperimentare, di apprendere e provare, e se posso, di condividere. Insieme si possono fare grandi cose.
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Ti ho visto su Scratch, Arduino, Cubetto, Micro Bit e tanti altri, qual è il tuo preferito? E quali sono le prossimo Sfide?

Parli a Luca o all’insegnante? Scherzo, ovviamente, ma il confine è sottilissimo. Intendo con questo che la tecnologia mi appassiona, la possibilità di costruirmi qualcosa che ho immaginato è una sfida che mi entusiasma e mi avvince. Insegnare è un’altra cosa. Se faccio una attività in classe devo essere sicuro che serva allo sviluppo e all’apprendimento dei ragazzi, non già per strappare applausi o per divertirsi.


Parli a Luca o all'insegnante? Scherzo, ovviamente, ma il confine è sottilissimo. Intendo con questo che la tecnologia mi appassiona, la possibilità di costruirmi qualcosa che ho immaginato è una sfida che mi entusiasma e mi avvince
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Il coding e la robotica educativa, hanno raggiunto una diffusione capillare nelle scuole, ma bisogna restituire ad entrambi il loro ruolo principe, quello di strumenti. Siamo fortunatissimi in questo, lo ammetto, ne abbiamo a disposizione tantissimi ed anche a prezzi contenuti, mo dobbiamo imparare ad usarli.

Mi viene in mente una frase di Abraham Maslow, sì, lo psicologo della piramide dei bisogni. Diceva spesso che se l’unico strumento che hai a disposizione è un martello, alla fine tutto inizierà a sembrarti un chiodo. Ecco perché nella didattica non ho uno strumento preferito. Cerco soltanto di capire cosa serve e come utilizzare al meglio quello che ho a disposizione per ottenere risultati sempre migliori.


Diceva spesso che se l’unico strumento che hai a disposizione è un martello, alla fine tutto inizierà a sembrarti un chiodo. Ecco perché nella didattica non ho uno strumento preferito.
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Per quanto riguarda le prossime sfide posso dirti che tutto parte dalla consapevolezza che la tecnologia, materia che io insegno, non è una disciplina a sé stante, ma può essere essa stessa un incredibile strumento di condivisione. Mi stuzzica l’idea di lavorare con i ragazzi all’IoT, internet of Things. Abbiamo già fatto esperienze con dati ambientali e rilievi sullo stato dell’inquinamento atmosferico nella nostra città e ci è piaciuto davvero molto. L’idea di trasformare i ragazzi in cittadini consapevoli e con strumenti critici tali da poter decidere in maniera attiva sul loro proprio futuro è una sfida che non può essere trascurata.


L’idea di trasformare i ragazzi in cittadini consapevoli e con strumenti critici tali da poter decidere in maniera attiva sul loro proprio futuro è una sfida che non può essere trascurata.
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Utilizzi molti strumenti rilasciati con filosofie “libere”, come Free Software o Open Hardware. Che significato ha per te?

Quando ero negli Stati Uniti avevo un vecchio professore con una storia umana incredibile e che spesso è stato un maestro di vita prima che un docente. Mi diceva spesso che la conoscenza è una specie di torta magica. La puoi dividere in quante fette vuoi donandola a tutti senza perderne un’oncia, anzi ritrovandoti spesso più ricco di prima. Credo che questo sia il senso pregnante di quello che faccio.


Mi diceva spesso che la conoscenza è una specie di torta magica. La puoi dividere in quante fette vuoi donandola a tutti senza perderne un’oncia, anzi ritrovandoti spesso più ricco di prima. Credo che questo sia il senso pregnante di quello che…
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Ti aggiungo qui qualcosa che mi ero riservato proprio per questa domanda. Ho lavorato, grazie al supporto del mio grande amico Francesco Piersoft Paolicelli, per creare per i ragazzi percorsi ad hoc sulle procedure Open Data. Sembrava un discorso difficile e complesso, ma i ragazzi hanno risposto alla grande. Hanno creato dei dataset meravigliosi, dalle scritte sui muri della loro città https://umap.openstreetmap.fr/en/map/scritte-sui-muri_174222#16/40.7446/14.6441), ai rilievi ambientali (https://umap.openstreetmap.fr/it/map/rilievi-ambientali-nocera-inferiore_140212), fino alla ricostruzione storica del mio paese in alta Irpinia, cancellato dal terremoto del 1980 (https://umap.openstreetmap.fr/ja/map/conza-della-campania_161192#17/40.86963/15.33171). Ne hanno creato delle mappe per visualizzare questi contenuti trasformando la ricerca storica, o campagne sociali fatte sul campo, in documenti navigabili e visionabili per l’appunto con licenza OPEN.

Ancora una volta non sono e non siamo concentrati sul risultato, quanto sul processo che serve a ingenerare nei ragazzi la consapevolezza delle proprie competenze e del proprio ruolo nella società. Ognuno, insomma, è responsabile del luogo in cui vive, come mi ha raccontato uno dei miei allievi alla fine di una di queste esperienze.

Grazie per le tue risposte, se qualcuno volesse curiosare sui tuoi lavori o le tue attività, in quale canale può trovarti?

Beh questo è più difficile. Nel senso che non ho un blog personale o un canale su cui pubblico. QUando ho qualcosa da raccontare lo posto sul mio account facebook pubblico, per cui accessibile a tutti ed ogni tanto collaboro con degli amici scrivendo articoli su Professionisti Scuola Network, su WeTurtle e su Bricks. Quest’anno ho aperto una pagina web con Google Sites (https://sites.google.com/view/lucascalzullo/home) condivisa con i miei alunni e che utilizziamo per le attività didattiche e che magari tra un pò potrà anche essere utile per chi volesse sapere cosa combiniamo in classe. Per il resto ti ripeto, sono solo un insegnante che ama il suo lavoro.

L’articolo Insegnante Attivo! Intervista a Luca Scalzullo proviene da Matteo Enna.

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