Google, UK e diritto all’oblio: sarà ‘censura’?
Il diritto all’oblio è una legge fortemente voluta dall’Europa che mira a “preservare” l’integrità morale di persone e personaggi, autorizzando loro a richiedere l’eliminazione di link a notizie contenenti dati lesivi, non rilevanti o obsoleti riguardo la propria vita dalle varianti europee del motore di ricerca.
Inizialmente sembrava quasi uno scandalo ma, col tempo, Google ha saputo dimostrare di agire con giudizio e di eliminare soltanto i link a contenuti effettivamente datati, lesivi o effettivamente non rilevanti: le richieste pervenute sono state tantissime ma Google ne ha rifiutato addirittura il 75%.
Tuttavia il diritto all’oblio presenta un cavillo piuttosto singolare: dal motore di ricerca possono essere infatti eliminati i link diretti a quel tipo di notizie relative alle persone, tuttavia nessuno ha (o meglio, aveva) il diritto di richiedere l’eliminazione di notizie che parlassero del diritto all’oblio in sé e che riproponessero in qualche modo i link deindicizzati dal motore di ricerca. In poche parole, è possibile che Google elimini dal suo motore di ricerca i link diretti a ciò che riguarda il vostro passato non proprio limpido ma lasci intatte notizie che parlano del diritto all’oblio e che, senza scrupoli, presentano link ai contenuti eliminati dal motore di ricerca.
Notizie pubblicate, ad esempio, dall’Oxford Mail e dall’Oxford Times e che hanno attratto su di esse l’interesse pubblico, tanto da finire al vaglio della corte e da sfociare con un vero e proprio decreto: dopo un primo rifiuto, una corte del Regno Unito ha formalizzato l’ordine per Google di rimuovere i link a notizie che parlino del diritto all’oblio, che contengono il nome della persona interessata e link a contenuti ritenuti inappropriati in nome di tale diritto.
Palese l’indignazione dell’Oxford Mail e dell’Oxford Times, arrivata per voce di O’ Neil:
I criminali condannati tentano di eliminare le tracce delle loro malefatte dall’occhio pubblico e la Corte Europea, oltre che l’ICO, sono favorevoli e complici.
In effetti anche l’ICO concorda col fatto che questa sorta di “censura” non sia esattamente giusta, sottolineando però che nel caso specifico delle due testate sopracitate siano state divulgate informazioni su personaggi non pubblici senza nessuna buona ragione:
I contenuti relativi alla de-indicizzazione dei risultati di ricerca possono essere degni di nota e nell’interesse pubblico, tuttavia tali contenuti possono essere adeguatamente e propriamente raggiunti senza una ricerca basata sul nome del querelante.
Morale della favola: l’ICO ha dato a Google – che può comunque ricorrere in appello – 35 giorni per de-indicizzare i contenuti offensivi. E ciò riporta alla luce una questione piuttosto complessa: il diritto all’oblio può non essere di per sé una censura, ma esiste la possibilità che le questioni ad esso indirettamente collegate possano effettivamente condurre, lentamente ma inesorabilmente, alla rimozione dai motori di ricerca di sempre più contenuti?
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