La carriera informatica: università o lavoro immediato? [Editoriale]
Tutti sanno che per diventare medico c’è bisogno di laurearsi in Medicina e Chirurgia, seguire un iter di specializzazione e con tanto sudore ed altrettante qualità conquistare la fiducia dei pesci più grossi ed iniziare a far carriera. Tutti sanno anche che per diventare magistrato c’è bisogno di laurearsi in Giurisprudenza, ottenere l’abilitazione all’esercizio, seguire un iter di praticantato e sudare per fare carriera e scalare la ripida scala della giustizia. E via dicendo per professionisti come architetti, docenti, fisici ed ingegneri.
Ciò che non tutti sanno, però, è la strada migliore per buttarsi a capofitto nel mondo dell’Information Technology, un ramo in cui non si distingue chi ha il pezzo di carta più valido ma chi, in effetti, a quel pezzo di carta fa coincidere un’eccellenza all’atto pratico. Perché “fare l’informatico” è una frase che non dice nulla poiché il mondo in cui io ed i miei colleghi viviamo tutti i giorni ha centinaia di sfaccettature differenti, e so perfettamente che non è una novità sentir dire che
per lavorare con i computer non c’è bisogno di una laurea.
Il che in parte è vero, ma è il concetto di “lavorare con i computer” che di sfaccettature può assumerne a migliaia. Per intenderci voglio farvi qualche esempio.
Nella mia carriera da informatica ne ho viste davvero di tutti i colori, dall’iscritto alla Facoltà di Informatica che a stento sapeva accendere un PC al ragazzino sedicenne in grado di scrivere un software in metà tempo (anche se magari meno efficiente) rispetto a quanto potrei fare io, nonostante abbia all’attivo almeno 12 esami di programmazione. E si può fare lo stesso discorso anche per quanto riguarda la sistemistica: mentre a 14 anni scoprivo Linux e smontavo il mio primo case, buona parte dei geek di oggi – anche ben più giovani – sono in grado di assemblarsi da soli aggeggi dedicati alla domotica con le board Arduino & Co e ricompilarsi il kernel Android per riadattarlo al proprio dispositivo.
E ci sono ragazzine di 13 anni in grado, senza una laurea in Informatica applicata al Marketing ed alla Comunicazione, di diventare famosissime sui maggiori portali sociali e far crescere i like delle proprie pagine in maniera smodata. Altroché se esistono.
Il giovin’ lavoratore
Sono soltanto pochi esempi ma su un aspetto la dicono già lunga: per essere “bravi” in certe cose, la laurea in Informatica non serve. E trovarsi un lavoro immediatamente dopo aver terminato la scuola dell’obbligo può essere una strada appetitosa, davvero appetitosa, anche perché oggi come oggi – almeno qui in Italia ed in questo settore – molte aziende (eccezion fatta ovviamente per le posizioni di Seniority) tendono ad assumere personale giovane, con una preparazione molto tecnica e con pretese di salario molto basse.
Insomma, il non plus ultra per un ragazzo o una ragazza appena diciottenne pronto a scalare la vetta e puntare in alto.
La tecnologia avanza…
Ad un certo punto della carriera, però, a questi aitanti ragazzi – divenuti intanto uomini e donne – succede una cosa piuttosto spiacevole: la scena tecnologica cambia, cambiano gli strumenti e la “routine” con cui si era abituati a lavorare viene completamente stravolta da ciò che verrà. Ad esempio: il caro vecchio ActionScript viene soppiantato da HTML5, non si smontano più computer desktop ma tablet 2-in-1, viene adottato in azienda un gestionale piuttosto che un altro, la piattaforma mobile in voga cambia e con essa il linguaggio di programmazione preferito.
Cosa succede a quel ragazzino che – a 19 anni e con una notevole attitudine ad agire secondo precisi standard – credeva di essere arrivato? Si fa una bella doccia fredda e si rende conto di essere in grado di agire soltanto mnemonicamente e meccanicamente su ciò che ha imparato da autodidatta o su forum e piattaforme dei suoi tempi. E si ritrova, suo malgrado, a non riuscire più a trovare un lavoro in cui possa eccellere.
Forma mentis: questa sconosciuta?
Certo quello descritto poc’anzi è uno scenario ricorrente ma non sicuro, tuttavia c’è una “tattica” che può prevenire tutto ciò, dando a quel ragazzino di 18 anni gli strumenti per poter camminare con le sue gambe anche se tutto intorno viene stravolto: la forma mentis. E, checché se ne dica, a mio avviso quella può darla soltanto una carriera accademica.
Si, perché per quanto riguarda l’Informatica è proprio l’Università a forgiare a 360° quelli che saranno gli informatici di domani: volendo riprendere il discorso programmazione, anche se i corsi frequentati insegnano quei due o tre linguaggi fondamentali, alcuni esami di contorno – vedasi gli quelli sugli algoritmi o alcuni esami apparentemente matematici come i vari Ricerca Operativa X – insegnano metodologie per approcciare a situazioni e casi d’uso, a prescindere da quale possa essere il linguaggio usato.
All’Università si impara inoltre a capire cosa c’è alla base di un linguaggio ad oggetti, delle architetture di comunicazione di una rete, del gestionale SAP, degli algoritmi dei vari Social Network, della scala di produzione completa di un software, delle strategie da adottare per ottimizzare un processo produttivo, della modellazione hardware di un componente, degli 0 e degli 1… insomma, di tutta quella teoria che un autodidatta di norma reputa noiosa (e, a buona ragione, incomprensibile) ma che troppo spesso serve letteralmente a salvare il lavoro ed adattarsi da uno scenario a quello completamente opposto.
Anche master e corsi di formazione insegnano ciò…
Anche questo è vero, e sicuramente possedere un attestato di qualifica (particolarmente richiesti i Cisco, i Red Hat e i Microsoft) inerente ad uno specifico settore rappresenta corsia preferenziale per la propria carriera. Tuttavia per definizione questi corsi sono specifici e, che piaccia o no, bisogna sostenere un certo costo (a volte anche molto alto) per sostenere l’esame e mettere le zampe sull’attestato. Nessun corso di formazione può offrire l’infarinatura “generale” di cui vi parlavo prima, che lo si voglia o no – a meno di non voler spendere decine di migliaia di euro e frequentare corsi per tutti i gusti – la natura resta specifica.
Quindi è sempre meglio frequentare l’Università, anche per la carriera informatica?
Alla luce di ciò che ho visto fino ad ora mi verrebbe da rispondere che si, studiare è la strada migliore per ambire a diventare un informatico completo in grado non solo di potersi adattare in caso di necessità, ma di poter cambiare campo professionale con uno sforzo relativamente basso senza dover sudare 7 camicie per acquisire quel modus operandi che nessuno gli ha insegnato a tempo debito.
Nonostante ciò, va detto che nel ramo dell’IT anche avere pratica è importantissimo e che… ci sono cose per le quali il miglior docente è l’esperienza: nessuno le può insegnare, se non il trovarsi in difficoltà o fare errori e porvi rimedio. Insomma, in un mondo ideale ci sarebbe bisogno di accostare la carriera accademica ad un certo approccio pratico, coadiuvato sia da qualche esperienza lavorativa che dai vari progetti e sessioni di recruiting e stage offerte spesso dagli atenei.
La raccomandazione è: cercate di laurearvi in tempo, perché quello dell’IT è un settore molto giovane – sempre eccezion fatta per le posizioni di seniority, per ambire alle quali c’è però bisogno di anni di esperienza pregressa.
E se la possibilità di iscriversi all’università manca ma il bisogno di lavorare è tanto, non disperate: se avete le potenzialità riuscirete a far carriera e a guadagnare nel tempo ciò che serve per… studiare. Perché abbinare studio e lavoro non è impossibile, basta un po’ di organizzazione e di definizione delle priorità: potreste laurearvi in 6 anni anziché in 3 pur tenendo il vostro lavoro.
L’importante è imparare ad adattarsi a tutto ciò che l’IT offre. E cercare di prendere, presto o tardi, quel pezzo di carta che di opportunità ne apre davvero ma davvero tante.
Anche a 40 anni.
L’articolo La carriera informatica: università o lavoro immediato? [Editoriale] appare per la prima volta su Chimera Revo – News, guide e recensioni sul Mondo della tecnologia.
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